An
excuse, a poem, a crime: And Nabokov "pale" fire revolutionized l’arte of
the novel |
LA TECNICA Fuoco pallido (Adelphi, a cura di Anna Raffetto, traduzioni di Franca Pece e Anna Raffetto, pp. 321, 18) è infatti una dimostrazione oltranzistica del carattere di sistema della letteratura, un monumento alla mistificazione, un’apologia della pazzia ragionante. Le sue parti vanno elencate senza emozioni, come gli oggetti rinvenuti nelle tasche di un cadavere. 1) Una prefazione, in cui un certo Charles Kinbote - esule di Zembla, «remota nazione nordica» - introduce l’edizione da lui curata del poema dello scrittore americano John Shade, ne narra la genesi, aggiunge informazioni impertinenti su se stesso e sull’autore, ammirato vicino di casa. 2) Il poema di Shade, intitolato Fuoco pallido . 3) Il commento di Kinbote, mostruosa d! eformazione ai margini dei 999 versi: un «nocciolo duro» che contiene storie e personaggi dell’ormai perduta Zembla, annotazioni sul rapporto ossessivo tra lo stesso Kinbote e Shade (vera e propria persecuzione del primo nei confronti del secondo) e il racconto della missione di un sicario partito per sopprimere il sovrano fuggiasco di Zembla (che si sovrappone sempre più all’identità fittizia di Kinbote) nel giorno in cui Shade ha iniziato il suo lavoro. Sarà invece il poeta, secondo quanto riferisce Kinbote, a finire ucciso. Questo il risultato di una lettura «fredda». Ma in ogni pagina non esiste niente che abbia maggiori probabilità di essere vero o falso. La rappresentazione dell’impostura si confonde con l’impostura stessa. Leggere Fuoco pallido vuol dire rimanere imprigionati nella costruzione perversa (Chi è Kinbote? Chi è Shade? Chi ha scritto veramente il poema?) e del mostruoso apparato critico costruito, forse, dall’esule zemblano. E parlare d! i questo libro vuol dire diventarne complici, entrare paradossalmente nel meccanismo stesso della finzione. Perché non indovinare allora come sarebbe se lo avesse scritto Javier Marias (con Oxford al posto della immaginaria cittadina americana di New Wye, Appalachia, e, magari, con l’isola di Redonda al posto di Zembla)? Ma è un testo già quasi perfetto. Meglio quindi chiedere a Pierre Menard, autore del Chisciotte (come nel racconto di Borges), di produrre pagine che «coincidano, parola per parola e riga per riga», con quelle, mirabili, di Nabokov. | |
Paolo Lepri | |
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